RECENSIONE:

Ogni qualvolta viene annunciato un nuovo progetto diretto da Steven Spielberg, si anela nella mente di ogni cinefilo l’euforia spinta dai successi che il maestro ci ha regalato negli anni, mista alla paura che anche lui possa deluderci. Eppure, nonostante il mare di mediocrità nel quale il cinema contemporaneo annaspa, Ready Player One si pone tra quelle pellicola che la china vogliono davvero risalirla.

Lo Spielberg che abbiamo di fronte, per quanto ci abbia regalato di recente perle, primo fra tutti The Post, non lo si vedeva da parecchio tempo. Non un regista ma un amante di quella libertà che trova nei film il giusto modo per esprimerla. Lo Spielberg che ci porta in un mondo dove attraverso un piccolo alieno riesce ad opporsi alla pestilenziale piaga del razzismo, che attraverso un parco di dinosauri riesce a farci mancare il fiato.

Ready Player One è uno di quei lavori che riesce a trasmettere a chi lo guarda la capacità e la voglia di sognare, dove ogni tassello è posto alla perfezione. Vuoi perché cita tutti quei lavori con i quali siamo cresciuti e che già di loro riescono a farci emozionare, o vuoi perché per quanto fantastico il panorama di OASIS non poteva essere più reale, la pellicola in questione ha soddisfatto ogni nostra più rosea aspettativa.

Di certo non si parla, ed il maestro non ce ne voglia, di un film perfetto, tuttavia possiede i giusti requisiti affinché la perfezione possa essere l’ultima cosa che conta. La forza di Spielberg, sorretta da un cast davvero egregio e da un’altrettanta sceneggiatura a dir poco citazionistica, è sempre stata quella di saper raccontare temi a dir poco tragici nella maniera più semplice possibile. Ready Player One non è la storia di un mondo dove l’uomo è stato causa della sua stessa rovina, dove la società per continuare a vivere ha dovuto ripiegare su di una virtuale migliore della loro, Ready Player One è un’immensa fotografica di quella realtà che ogni giorno abbiamo di fronte, proprio sotto i nostri stessi occhi.

Quella stessa realtà ha fatto si che la pellicola di Spielberg non fosse altro (nonostante la già appurata bellezza) che un semplice neo di quel panorama descritto da Ernest Cline nel romanzo dal quale il film è tratto, ed il tutto non è stato causato dal solito luogo comune che “il libro è sempre meglio del film“, bensì da quegli aspetti burocratici fatti di permessi e licenze di cui il cinema (seppur arte a tutti gli effetti) risente ogni giorno.

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